Lettera Aperta al Sindaco di Milano
L’iniziativa è partita da qui:
http://blog.wired.it/codiceaperto/2013/11/06/informatica-e-donna-i-giornalisti-uomini.html
La lettera originale si trova qui:
http://www.statigeneralinnovazione.it/wiki/index.php?title=Lettera_aperta
Io rilancio:
Egregio Signor Sindaco,
Abbiamo letto con grande interesse l’articolo su pionero.it dal titolo “L’informatica è donna: a Milano via i corsi gratuiti con Microsoft e futuro@lfemminile”. In particolare, abbiamo gradito la gratuità della formazione e il fatto che sia rivolta alle donne.
Nell’articolo si afferma: “Conoscere e utilizzare al meglio i principali programmi di informatica, da Word a Excel a Internet Explorer partecipando a corsi gratuiti, per migliorare la propria formazione e avere una chance in più anche nella ricerca di un lavoro: è l’opportunità offerta da futuro@lfemminile – il Progetto di Responsabilità Sociale di Microsoft Italia con Asus e Avanade – grazie all’iniziativadonne@lcomputer promossa dall’Assessorato alle Politiche sociali e Cultura della Salute”.
Siamo certi che lei sia al corrente del fatto che la pubblica amministrazione deve privilegiare (ai sensi dell’Articolo 68 del Codice dell’Amministrazione Digitale) il software libero – o open source – nei confronti di quello proprietario, e quindi proprio delle soluzioni Microsoft, e le ricordiamo che il mercato offre ottimi software liberi sostenuti da grandi comunità, che sono in grado di sostituire senza problemi i software proprietari, così com’è già avvenuto in numerose occasioni.
Oggi l’informatica è un universo che dà vita a un ecosistema cognitivo che è tanto più forte quanto più vario. Inoltre, nella società della conoscenza, la disponibilità di alfabeti e grammatiche digitali significa autonomia e libertà di crescita, mentre la disponibilità del codice sorgente significa trasparenza e possibilità di condivisione del sapere.
Il software libero permette di trasformare in vantaggi reali e tangibili tutte queste opportunità.
La Pubblica Amministrazione negli enti della Regione Umbria e nelle Province di Cremona e di Macerata sta migrando al software libero proprio per questi motivi (oltre che per quelli normativi sopra citati).
Pur apprezzando l’iniziativa citata nel primo paragrafo, ci permettiamo di richiederle un incontro per poter programmare corsi di informatica utilizzando il software libero, in particolare il browser Firefox, la suite da ufficio LibreOffice e il programma di editing grafico GIMP. Questo consentirà ai cittadini di ottenere lo stesso tipo di risultati senza nessun esborso aggiuntivo per l’acquisto delle licenze d’uso del software proprietario, in quanto il software libero – com’è ormai noto a tutti – è gratuito sia per uso personale che per uso commerciale.
Siamo certi che appoggerà questa battaglia per la libertà, e restiamo a disposizione per eventuali ulteriori informazioni.
Cordiali saluti,
Italo Vignoli
The Document Foundation
Comunità LibreItalia
Sono molto contento che lei continui a commentare, perché questo dimostra che LibreOffice e il programma di certificazione danno un certo fastidio a Microsoft (azienda alla quale lei è sicuramente legato, visto il tono e il contenuto dei suoi argomenti, che continuo a considerare patetici). Il fee che si paga per accedere alla certificazione Microsoft è alla base di un rapporto commerciale, mentre quello che si pagherà – se si pagherà – per la certificazione TDF sarà un rimborso delle spese sostenute per la gestione del programma stesso, da parte di coloro che non fanno parte del progetto (sempre che vengano ammessi alla certificazione). Per il momento, tutti coloro che sono stati certificati non hanno pagato nulla, e tutti i membri TDF non pagheranno nessun fee.
Abbiamo deciso di usare il termine certificazione perché è quello che conoscono le aziende, ma nella realtà la certificazione TDF ha molto poco della certificazione (che ha l’obiettivo di creare un mercato protetto) e molto più dell’accreditamento (termine che viene utilizzato per altre professioni e che non è mai alla base di un rapporto commerciale).
Comunque, l’attenzione che ha dedicato ai nostri testi e alle nostre presentazioni confermano che siamo sulla strada giusta, perché se Microsoft fa lo sforzo di trovare un suo esponente che ha un passato in una qualche forma di software libero (per millantare una competenza, anche a fronte di una ricerca online) e poi lo manda a commentare con continuità una semplice lettera aperta al Sindaco di Milano, significa che rappresentiamo una piccola minaccia al monopolio. Abbiamo riconquistato quella posizione che avevamo nel 2008/2009, prima dell’acquisizione di Sun da parte di Oracle che ha portato al fork e all’inevitabile indebolimento delle nostre posizioni.
La prego di continuare con i suoi commenti (ci sono abituato, ho risposto per anni ad altri personaggi “indipendenti” che avevano il timbro Microsoft e replicavano a quello che scrivevo su blog e newsgroup). Tutto questo ci fornisce degli elementi importanti per focalizzare la nostra strategia, e -come in passato – per intraprendere iniziative sempre più efficaci.
@ Sig. Dario Cavedon.
Esistono, anche in Italia, interi ecosistemi di fornitori software che supportano e mantengono software proprietari. Anche questi danno lavoro a personale italiano. Penso sia necessario ricordare anche queste realtà.
@ Sig. Italo Vignali
Io non lavoro per un partner Microsoft. La mia azienda lavora nel campo dell’avionica e usa software proprietario o open source a seconda delle necessità e delle convenienze. Per fare degli esempi concreti: http://www.windriver.com/products/vxworks/ – sistema proprietario
http://www.windriver.com/products/vxworks/ – sistema open source
Un saluto a tutti!!!!
Il Sig. Italo Vignoli ha scritto. “Nel caso di LibreOffice, i suoi punti dal 3 in avanti sono semplicemente ridicoli, in quanto mettono le condizioni del software proprietario e quelle del software libero sullo stesso piano.” Forse il punto 4.3 è scorretto? Forse per aderire il Libre Office Certification Program non è necessario pagare una fee? Qui sotto, nel testo della LibreOffice Foundation si parla di fee:
“TDF will promote the ecosystem through it´s channels and with an aggressive marketing campaign targeted to corporate users, in order to increase LibreOffice adoption based on value added services provided by certified professionals for migration, integration, development, support and training. TDF members actively involved in one of these areas will be certified for free, provided that they can demonstrate that their skills comply with the standards. Otherwise, LibreOffice Certification will be fee based, and the fee might vary according to the value provided by the partner to the project.”
In questa Sua presentazione, a pag. 20, si parla di “fee”
http://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=5&cad=rja&ved=0CFMQFjAE&url=http%3A%2F%2Fconference.libreoffice.org%2Ftalks%2Fcontent%2Fsessions%2F056%2Ffiles%2Fberlin-certificationtrack.odp&ei=dhK-UsGKJqei4gS2q4DwAg&usg=AFQjCNEqCGhWSJBPtOtfvs_LHZ6B2zjPQQ&sig2=qHt1oWP0E5gDW84qVAR4hw
Temo che anche per gli altri punti avrebbe qualche difficoltà a mostrarne la “pateticità”.
Vorrei far modestamente rilevare che l’indubbio vantaggio economico del software libero è anche quello di poter investire soldi (pubblici o privati) in aziende e professionisti locali, contribuendo così a impiegare manodopera locale, italiana – ricordo che la disoccupazione giovanile in Italia è al 40%. In questo modo si crea richiesta di mercato, si aumenta la cultura informatica (l’Italia è agli ultimi posti in Europa), si portano a casa conoscenze che altrimenti dovremmo cercare all’estero.
Tutto questo non si può fare finché si spendono (sprecano) soldi in sterili licenze.
Probabilmente lei ignora che sul codice di LibreOffice siano intervenuti 750 nuovi sviluppatori negli ultimi tre anni, incoraggiati dai vecchi sviluppatori. Questo è stato comunicato a più riprese e in più occasioni, per cui se lei lo ignora lo fa in modo preconcetto. D’altronde, le sue fonti sono solo Microsoft, e sospetto che il suo datore di lavoro non sia molto diverso. Nel caso di LibreOffice, i suoi punti dal 3 in avanti sono semplicemente ridicoli, in quanto mettono le condizioni del software proprietario e quelle del software libero sullo stesso piano. Si vada a leggere un po’ di documenti che le chiariscono le idee, e le consentono di scrivere cose un po’ più precise. La smetta, per favore, la sua difesa del software proprietario è del tutto patetica.
Proviamo a descrivere due scenari, abbastanza simili, secondo me.
1. Esiste un prodotto, libero o proprietario, sviluppato da un’azienda nel caso del prodotto proprietario e da un gruppo, da una comunità di sviluppatori nel caso di prodotto libero. Chiamerò questa azienda o questa comunità come gli “sviluppatori originali”.
2. Tutti in teoria avendo le conoscenze necessarie e gli strumenti adatti potrebbero mettere le mani sul codice generato dagli sviluppatori originali.
3. In pratica vincoli di tipo legale e commerciale spesso negano l’accesso al codice nel caso di prodotto proprietario. In pratica vincoli di tipo conoscitivo e di capacità limitano la possibilità di intervenire sul codice nel caso di prodotti liberi; in altre parole non tutti, anzi pochissimi, sono capaci di mettervi le mani.
4. Lo sviluppatore originale, commerciale o libero, tende a creare una rete di partner con capacità certificate, con svariate finalità:
4.1. garantire un certa qualità del servizio di supporto / assistenza erogato dai partner (vale sia per il prodotto libero che per il prodotto proprietario)
4.2 offrire ai partner la possibilità di aumentare in maniera strutturata la propria conoscenza sul prodotto (vale per entrambi)
4.3 introdurre una fonte di reddito per lo sviluppatore originario (diventare partner e continuare ad essere partner comporta da parte del partner il pagare una certa quota annua e questo ancora una volta vale sia per il prodotto libero che pe quello proprietario – mi sembra che anche nel LibreOffice Certification Program si parli fi “fees”)
4.4 lo scopo effettivo è il controllo sull’ecosistema di utenti ed entità che offrono supporto/assistenza
5. L’accesso al codice, e cioè la capacità di aggiungere, inserire, modificare codice che va poi a confluire nel prodotto originario è anche essa controllata dallo sviluppatore originario. Nel caso del prodotto proprietario solo alcuni hanno accesso (talvolta anche i partners e ovviamente pagando) al codice originario. Nel caso del prodotto libero tutti hanno accesso al codice originario. La decisione di includere o meno una parte di codice sviluppata da un partner o da terza parte nella base di codice originaria viene comunque presa in entrambi i casi solo dallo sviluppatore originario.
Scusatemi ma vedo poche differenze e mi sembra che sia la convenienza economica e non altro a muove i vari attori in questi scenari e qui mi fermo.
Il signorMaurizio Martignano dice:
“Esiste + di un fornitore partner di Microsoft; esiste + di un fornitore partner di Oracle; esiste + di un fornitore partner di SAP. Il libero mercato, e la scelta del fornitore migliore, più conveniente sono possibili anche nel mondo proprietario. O sbaglio?”
e a questo punto mi viene il dubbio che si stia (bonariamente) burlando di me.
Certo che esistono + partner Microsoft/Oracle/SAP, questo è _ovvio_. Sembra che si voglia cogliere il punto. Se la mia PA o azienda ha scelto Microsoft (per fare un esempio a caso) e ha qualche problema con i prodotti di questa casa, rivolgersi a un concessionario o ad un altro cambia qualcosa? Come possono intervenire su un prodotto non loro? Senza sorgenti e senza la proprietà del codice? Craccando? Facendo reverse engineering? Questo sarebbe il “supporto professionale”? Scegliendo un prodotto “chiuso” si è sicuri solo di una cosa… sicuri di essersi ficcati in una gabbia da soli, e per giunta _pagando_ una licenza per un prodotto che spesso si trova facilmente un equivalentemente libero…
Io vivo a Trento, una città definita recentemente la migliore come vivibilità d’Italia. Forse questa vivibilità dipende anche dall’avere una PA che funziona. Questa PA che funziona, come i Comuni di Trento, Rovereto, Riva del Garda e molti altri qui intorno, per non parlare della Provincia di Bolzano e d’intorni sono passati ai formati aperti con le suite Open o LibreOffice. Una coincidenza? Pare che i responsabili di questi Comuni abbiano dichiarato un risparmio che aumenta di anno in anno dopo questa scelta di campo. In questi tempi di crisi non mi pare poco. Si parla di centinaia di migliaia di euro risparmiati. Mentre sembra che le PA che funzionano peggio, che spendono di più ottenendo i risultati peggiori, siano quelle che hanno scelto soluzioni proprietarie in tutta Italia.
Basta posizioni idelogiche, facciamoci fare bene i conti: i soldi pubblici sono anche soldi miei!
Il lock-in non è una posizione ideologica, ma una realtà di mercato. Microsoft fa tutto il possibile per legare l’utente a Office rendendo difficile, se non impossibile, l’interoperabilità. Questo è un dato di fatto. Il formato standard ISO OOXML – che ha una documentazione di 7.200 pagine, e non dispone di un SDK, per cui obbliga a ricorrere al reverse engineering perché rende impossibile la creazione di filtri sviluppati secondo un processo standard – contiene porzioni di codice binario non standard e non documentate, ed è stato approvato come standard sulla base di azioni di lobby (posso documentare il processo, perché ero membro del comitato UNINFO).
Il fatto che Microsoft abbia i partner è del tutto irrilevante rispetto al software. I partner certificati che offrono supporto professionale li abbiamo anche noi, e vengono usati da tutti i progetti di migrazione di successo (come Monaco di Baviera, che è passata da OpenOffice a LibreOffice anche perché esisteva il supporto commerciale certificato). I problemi sono i costi di licenza, l’EULA vessatoria e il lock-in, non il supporto commerciale (normale per qualsiasi software professionale).
Lei si occuperà anche di software libero in campo avionico, ma sul desktop è imbevuto di cultura Microsoft (e questo, personalmente, lo trovo in conflitto con il software libero, indipendentemente dal sistema su cui gira). La scelta del software libero è legata a concetti di tipo filosofico (ed etico), che vengono confusi con posizioni ideologiche solo da coloro che sostengono il software proprietario.
Oggi, il software libero ha raggiunto un livello di qualità e affidabilità che tolgono qualsiasi tipo di incertezza alla migrazione, fatta secondo il protocollo suggerito da The Document Foundation (che è indipendente da qualsiasi attore commerciale, al punto che IBM ha preferito creare un proprio progetto piuttosto che sottostare alle condizioni dettate dal nostro statuto). Ovviamente, la migrazione deve essere accompagnata da una serie di servizi di supporto così come succede a qualsiasi software professionale (e come succede alla maggior parte delle installazioni MS Office).
http://adsabs.harvard.edu/full/1997ESASP.409..143M
Io è dal 1995 che mi interesso di software libero in campo avionico. Però dire che scegliere Microsoft sia un lock è una posizione “ideologica”. Ignorare le reti di fornitori e partner che aziende come Microsoft, Oracle, SAP, ecc… hanno è anche questa una posizione “ideologica” e, scusatemi tanto, di interesse.
http://mspartner.microsoft.com/it/
http://www.oracle.com/it/partnerships/solutions-catalog/specialized-partners/index.html
http://www.sap.com/italy/partners/overview.html
ERRATA CORRIGE: Mi scuso per l’informazione scorretta che ho dato nella foga circa Collabora. E’ il supporto commerciale di LibreOffice che sembra essersi spostato da Suse a Collabora; una mossa commerciale appunto.
@Maurizio Martignano
Lei dimostra di essere informato in modo parziale.
1. Friburgo in Brisgovia è passata a OpenOffice per mano di un idiota, che nell’arco di un week end ha disinstallato MS Office e installato OpenOffice senza dire nulla agli utenti. La ricetta migliore per il fallimento, e infatti la comunità non ha mai approvato questo modo di procedere. Se avesse fatto l’opposto, gli utenti avrebbero rifiutato MS Office.
2. Certo, ma The Document Foundation è una fondazione not for profit e io non ricevo nessun tipo di compenso per il mio lavoro nel board, così come nessuno degli altri membri. Io ho interessi economici da volontario, che sono un po’ diversi da quelli – per esempio – dei dipendenti IBM che sviluppano Apache OpenOffice.
3. La ricerca Forrester riguarda un centinaio di aziende statunitensi, e se fosse stata estesa all’Europa e al Sud America avrebbe avuto risultati molto diversi. Inoltre, un centinaio di aziende statunitensi equivalgono, come campione, a una decina di aziende italiane. Statisticamente, una scelta poco sostenibile.
4. Sui software, lei dimostra di essere informato da fonti intenzionalmente disinformate (e molto Microsoft oriented). Io sostengo LibreOffice, che è il software scelto da tutte le migrazioni a livello mondiale, con l’eccezione della regione Emilia Romagna (che ha scelto Apache OpenOffice, ovvero un prodotto IBM con il cerone di Apache Foundation, che sembra avere un po’ troppi dipendenti Microsoft tra i suoi quadri dirigenti). Collabora è un’azienda che contribuisce allo sviluppo di LibreOffice, e non è certo un altro software (per cui nessuno può scegliere Collabora, che è uno spin off di SUSE, che continua ad avere LibreOffice come suite di produttività all’interno di SUSE Linux). Gli utenti, su questo, sembrano avere le idee molto più chiare delle sue, e questo – ripeto – non depone a favore delle sue tesi, del suo livello di informazione, e delle sue fonti.
Gli utenti sono liberi di fare quello che preferiscono: scegliere il software libero, e le libertà che ne derivano (come ha fatto Monaco di Baviera), o scegliere Microsoft, e il lock in che ne deriva.
@Sig. Marco:
Esiste + di un fornitore partner di Microsoft; esiste + di un fornitore partner di Oracle; esiste + di un fornitore partner di SAP. Il libero mercato, e la scelta del fornitore migliore, più conveniente sono possibili anche nel mondo proprietario. O sbaglio?
Fra parentesi, la mia ditta lavora la 90% nel software per sistemi avionici utilizzando sia software proprietario che open source (e sono stato uno dei primi a spingere per l’adozione del compilatore GCC anche in campo spaziale – provi a googolare il mio nome insieme a GCC).
@ Sig. Italo
1. L’esempio di Monaco andrebbe citato insieme a quello di Friburgo, che invece è tornato indietro da Open Office a Microsoft Office.
2. Dietro qualsiasi sviluppo open source di una certa entità ci sono sempre e solo interessi economici (e guerre commerciali). Se non sbaglio Lei è uno dei membri della board di TDF (The Document Foundation – LibreOffice).
3. Credo possa interessare vedere i risultati di questa ricerca (del gruppo Forrester), circa l’adozione di suite di office commerciali ed open source.
Sembra che l’adozione di software liberi come OpenOffice o LibreOffice abbia un peso inferiore all’adozione di applicazioni web come Google Docs.
4. Cosa possono fare i poveri utenti sprovveduti, che non sanno niente?
Adottare OpenOffice? Oppure LibreOffice? Oppure Collabora che è stato appena preferito a LibreOffice da SUSE (la distro di Linux sempre tedesca)? Ma allora perché alcuni tedeschi hanno adottato LibreOffice ed altri Collabora – solo per interessi economici, ovviamente…
Non è forse più saggio, sicuro rimanere con Microsoft?
http://www.networkworld.com/community/blog/office-2003-bigger-threat-microsoft-google-docs
Un’ultima considerazione. Io mi interesso di adozione di software open source in sistemi avionici. Anche in questo dominio applicativo sono le considerazioni economiche a guidare le scelte.
@ Tutti
Tanti auguri di Buon Natale e Felice Anno Nuovo!!!
Il commento di Maurizio Martignano sarebbe condivisibile in parte se non per alcuni particolari che fanno pensare: dal link di Maurizio Martignano si evince che egli possiede o lavora per un’azienda il cui “Core Business” sono i sistemi proprietari, principalmente di Microsoft e Oracle, anche se non è a digiuno di S.L. È indubbio che un certo conflitto di interessi, visto i guadagni che senza sforzo portano a casa le licenze di questi prodotti, c’è.
In effetti gli argomenti che porta sono altrettanto validi anche per il sw proprietario. Il fatto che si paghi o no la licenza non ha alcuna conessione con i costi di manutenzione e la frase “La speranza poi è di acquisire contratti di formazione e manutenzione sul prodotto libero” la si potrebbe modificare in “La speranza poi è di acquisire contratti di formazione e manutenzione sul prodotto proprietario” sarebbe altrettanto valida. C’è però un fatto importante: con il prodotto proprietario io Pubblica Amministrazione o Privato che sia sono costretto a rivolgermi al proprietario del sw proprietario in oggetto. Con Software Libero invece, posso rivolgermi a chiunque, anche al soprascrivente Maurizio Martignano, mettendolo in diretta e libera concorrenza con tanti altri professionisti e “che vinca il migliore”. Si ottiene pertanto una meritocrazia nei fatti che permette ai migliori di mergere e che è nemica delle posizioni di rendita rendendo la PA e il Privato nella possibilità di essere più efficiente ed economico. E questo fatto, senza parlare delle questioni molto più importanti di libertà e trasparenza, sarebbe da solo sufficiente a orientare le scelte di Pubblico e Privato per la quasi totalità delle scelte verso il Software Libero.
PS: io non posseggo un’azienda ma ho lavorato in passato nel privato anche come libero professionista (sia come freelance che socio di azienda) e ora lavoro nel pubblico: l’effetto “sprecone” del software proprietario lo vedo tutti i giorni…
la lettera e’ di Falvia Marzano, non BY “Italo Vignoli”, (che nel frattempo pero’ si #indigna con Matteo Renzi, #LOL http://www.cwi.it/una-domanda-a-matteo-renzi-16736) e per correttezza ed etica che contraddistinguono il #freesoftware andava perlomeno citata la fonte:
http://blog.wired.it/codiceaperto/2013/11/06/informatica-e-donna-i-giornalisti-uomini.html
http://www.statigeneralinnovazione.it/wiki/index.php?title=Lettera_aperta
(e nota bene con licenza CC BY SA) e Italo… non solo la firmi solo tu ma non citi neppure la fonte?
Non credo proprio, io parlo espressamente di una battaglia per la libertà dai vincoli posti dal software proprietario. Peraltro, la maggior parte degli utenti prende il software libero così com’è, e non ha idea dell’esistenza delle libertà che vanno oltre quella d’uso e distribuzione. Questa situazione riguarda anche e soprattutto le aziende e gli enti pubblici, dove la conoscenza del software libero è sommaria (per usare un eufemismo).
Credo che entrambi vi siate fermati al diritto numero zero garantito dal software libero, al contrario delle limitazioni imposte dai contratti di licenza per il software proprietario: “la libertà di usare il software”.
Come ben sapete le libertà sono ben di più, sebbene posso concordare che sarebbe opportuno consultare personale esterno all’amministrazione per usufruirne, non potete sorvolare sul fatto che questa libertà non viene offerta dal software proprietario protetto da licenza d’uso.
La sua conclusione mi sembra un po’ affrettata, perché se è vero che c’è un discorso economico da entrambe le parti – con i distinguo che ho fatto, in quanto da cittadino preferisco che i miei soldi rimangano in Italia e non finiscano negli Stati Uniti passando dall’Irlanda – è altrettanto vero che c’è una fondamentale battaglia per la libertà delle amministrazioni pubbliche dal lock in imposto – quasi sempre in modo subdolo – dalle aziende del software proprietario.
Purtroppo, la “benevolenza” dimostrata da alcune amministrazioni pubbliche nei confronti soprattutto di Microsoft (che oggi è facile comprendere, alla luce delle rivelazioni di questi ultimi mesi) è costata alla comunità una cifra che è difficile valutare, ma che è sicuramente superiore a quella che la comunità avrebbe pagato per utilizzare software libero (perché il lock in ha un costo che fa parte del costo del prodotto stesso, per cui l’utente paga non solo per la licenza d’uso ma anche per quelle caratteristiche che lo “costringono” a continuare a usare quel prodotto, in quanto rendono il cambiamento artificialmente costoso a causa dei problemi di interoperabilità).
La città di Monaco di Baviera ha detto molto chiaramente a Steve Ballmer che il problema non era il costo della migrazione, ma la libertà che derivava dalla migrazione stessa (e infatti ha rifiutato qualsiasi tipo di sconto). Quindi, nessuna guerra di religione (che non avrebbe senso), ma una forte, fortissima, battaglia per la libertà dal software proprietario.
Bene, sono molto contento di essere riuscito a spostare la discussione su ciò che veramente conta. Si tratta di un discorso puramente economico, da entrambe le parti, sia dalla parte di chi “vende” sia dalla parte di chi “compra”. Che cosa conviene di più e che cosa conviene di meno. Nessuna guerra di religione e nessuna battaglia per la libertà. Grazie per aver pubblicato anche la mia opinione.
Cordiali saluti!
Ho l’impressione che lei sia rimasto indietro rispetto alle posizioni del software proprietario rispetto al software libero, o sbaglio? La storia del maggiore Total Cost of Ownership del software libero non la cavalca più nemmeno Microsoft, dopo che l’ultimo rapporto sulla migrazione dell’amministrazione pubblica di Monaco di Baviera si è rivelato talmente di parte da non essere assolutamente credibile. E la storia delle versioni sarebbe indubbiamente simpatica, se non bastasse la conoscenza dei numeri da 1 a 10 per distinguere quelle di LibreOffice (e se non basta, la versione da usare la dichiariamo nei comunicati stampa).
Suvvia, il software libero non è una moda, visto che ci sono milioni di desktop che funzionano senza problemi nelle aziende e nelle pubbliche amministrazioni, nonostante l’intensa attività contraria all’interoperabilità dei documenti portata avanti da Microsoft con i suoi formati falsamente aperti e standard (forse le è sfuggito che il formato OOXML, a sei anni di distanza dalla sua approvazione, non viene ancora “scritto” secondo lo standard ISO).
E’ ovvio che ci sono opportunità commerciali intorno al software libero, e per fortuna che ce ne sono perché rappresentano opportunità di lavoro a livello locale, come è successo in Provincia di Perugia e in Provincia di Macerata. Al contrario, i soldi per l’acquisto delle licenze d’uso di MS Office vanno tutti in Irlanda, visto che tutte le fatture vengono emesse da un’azienda che ha sede in quel Paese, per cui in Italia non rimane nemmeno l’IVA, e dall’Irlanda prima o poi arrivano a Redmond. Certo, è un percorso assolutamente legale, ma resta il fatto che tutti i soldi – compresi quelli dell’IVA – escono dall’Italia. Forse, sarebbe il caso di cominciare a parlare anche di queste cose, e non solo di un TCO a cui non crede più nessuno dopo aver visto Windows 8.
No. Non si tratta di una battaglia per la libertà. Semplicemente di una guerra commerciale dove si sfrutta l’assenza del costo di licenza (del costo di acquisto) per spingere il prodotto libero a favore di quello proprietario. La speranza poi è di acquisire contratti di formazione e manutenzione sul prodotto libero. Se questo è il punto di vista di chi “offre” la soluzione libera, chi invece sta valutando se “acquistarla”, se adottare la soluzione libera oppure no deve fare altre valutazioni. In particolare la licenza, il costo di acquisto sono trascurabili rispetto ai costi di esercizio, di gestione. Se adottare la soluzione libera porta a problemi di compatibilità nell’importazione ed esportazione dei documenti, se la soluzione libera fa perdere tempo destinato alla produzione di documenti allora non è economica. E poi che versione si installa? Nel caso della soluzione proprietaria le versioni sono ben chiare. Nel caso della soluzione libera di quale versione stiamo parlando? Di quella uscita oggi oppure di quella uscita tre settimane fa? Ora aggiornare le versioni sul proprio PC di casa è un conto, ma aggiornare il parco macchine di un’azienda od un’amministrazione pubblica è un’altra storia. Ovviamente queste cose sono ben note a chi propone soluzioni libere e che vede nella confusione generata dalle tante versioni un’altra opportunità di business. Altro che battaglia a favore della libertà, qui si cavalca la “moda del software” libero nella speranza di sfruttare le opportunità commerciali che esse sembra offrire. Niente di più, niente di meno.
Cordialità.